31 luglio 2011

Operazione Telepass

Operazione Telepass: dalla rottamazione alla motorizzazione (civile)

La vicenda che in questi giorni ha investito Penati, e con lui tutto il Pd, dovrebbe servire al gruppo dirigente del partito e a tutti i suoi iscritti per aprire una discussione seria e rigorosa, cercando di evitare una difesa d’ufficio tout-court (vedi class action) che rischia solo di trasformarsi in un boomerang, considerato che le indagini sono agli inizi.
Ma c’è di più. A mio avviso questa vicenda tocca due questioni che in questo paese non sono più rimandabili. Una è il rapporto tra affari e politica, l’altra, sembrerà strano, è quello del rinnovamento della classe dirigente. E mettiamoci in testa una cosa. Sono questioni che ci toccano da vicino, perché le ripercussioni reali ce le becchiamo tutte noi comuni cittadini.
Parlando di rapporti tra affari e politica, è chiaro che, al di là del caso Penati e delle presunte illegalità, c’è un problema di trasparenza grosso come una casa. Un esempio su tutti che mi tocca da vicino. Com’è possibile che in Francia costruire un chilometro di Alta Velocità ferroviaria costi 16,6 milioni di euro, mentre in Italia 62?
È indubbio che chi amministra i territori o fa politica a livello nazionale abbia dei rapporti consolidati con ambienti economico-finanziari. E ci mancherebbe altro. Senza questa connessione la politica sarebbe un ramo secco, incapace di rappresentare dei pezzi importanti del sistema produttivo e di governare la società e le sue dinamiche in maniera credibile. In Italia però, questo rapporto è da sempre propenso alla commistione tra gli interessi economici e quelli dei politici e della politica. Sarà che l’Italia è da sempre il paese dove le relazioni contano più della trasparenza, dove le amicizie contano più del merito e dove, spesso, l’avversità a questi fenomeni si ferma all’indignazione.
Con una situazione del genere non c’è da stupirsi se la politica, e i partiti in particolare, godono di un discredito sempre più dilagante.
E qui che sta la questione del rinnovamento della politica. Questo passaggio è inevitabile per rompere legami ultradecennali, equilibri corporativi, meccanismi di autoconservazione che hanno bloccato il paese e lo stanno portando a fondo. Senza questo cambiamento radicale (e reale, non fatto dai cooptati o da quelli in fila) siamo destinati a un declino sempre più rapido. La prossima Italia passa, come dice Pippo Civati (e lo so che inizio a diventare monotono, ma a dir cose serie sembra rimasto solo lui…), dalla volontà di passare all’azione, dal passare dalla “rottamazione alla motorizzazione civile”, di farsi interpreti con azioni concrete di quel “vento che cambia” che sta diventano un tornado.
La prima proposta è quella di invitare tutti i cittadini che hanno a cuore le sorti del Pd e del centrosinistra a mettere una semplice firma. Quella per chiedere che anche i parlamentari vengano scelti attraverso le primarie, per ridare un briciolo di dignità, di autorevolezza e di legittimazione a un Parlamento fatto di nominati. Facendo così riattiveremo la partecipazione popolare, metteremo in campo energie nuove, sbloccheremo una politica che non rappresenta quasi più nessuno.
Un’operazione “Telepass” insomma, aperta a tutti quelli che hanno voglia di saltare la coda e mettersi in gioco. Per loro, per il Pd, per tutti noi.


http://www.prossimaitalia.it/news/1294/operazione-telepass-dalla-rottamazione-alla-motorizzazione-civile/

30 luglio 2011

Il libretto arancione

«Se fossi un ragazzo di provincia, dopo aver visto quel che è successo a Milano, adesso avrei la speranza che succeda anche nella mia città. Vorrei fare il volontario per un candidato che conosco e che stimo, e vorrei che il suo comitato elettorale fosse un luogo aperto in cui tutti possono portare il loro entusiasmo e le loro idee. Vorrei che il Pd lo capisse, e permettesse ai suoi elettori di scegliersi i propri candidati a Camera e Senato con primarie aperte e libere».
L’estate del cambiamento, l’ebook a cura di Pippo Civati e Paolo Cosseddu.

http://www.prossimaitalia.it/news/1265/il-libretto-arancione/

24 luglio 2011

Ancora Oltre. Il campeggio del cambiamento. 22-23-24 luglio 2011

Albinea (RE)
22-23-24 luglio 2011

Travolto dal ritorno alla quotidianità, solo ora riesco a buttar giù due righe su quello che mi son portato a casa da Albinea. Non prendetelo come un esercizio di stile. Non è così. Scrivere aiuta a mettere in ordine i pensieri, e dopo questo week end ne ho bisogno.

Credo che ad Albinea il nostro gruppo di sognatori/peones/movimentisti/indignados-organizados/demoscazzati, ecc, ecc, abbia fatto un ulteriore salto di qualità.

Non tanto a livello di contenuti. Quelli c’erano già, sono di qualità e serietà indubbia e il nostro partito, prima o poi, se ne renderà conto. I problemi della mia valle si sono incrociati con quelli dei precari. Il mezzogiorno di fuoco raccontato dagli amici napoletani si accompagna con la necessità di rimettere in moto l’economia, partendo da un fisco più “mobile” e meno “immobile”. Un modo di lavorare che entusiasma e ci aiuta a capire quanta ragione aveva Don Milani quando diceva: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia. Sortirne insieme è la politica”.

Noi abbiamo fatto proprio questo. Stando sul pezzo e sui pezzi (di territorio). Facendo rete dentro e fuori la rete.
Chiamando la cose con il loro nome per riconoscerle, come ci ha detto Ivan, per sostenerle quando ci piacciono e cambiarle quando non ci van bene. Tutto questo lo abbiamo fatto grazie alla passione e alla capacità di Pippo, e lo scrivo senza piangeria. Il post che Paolo ha scritto poche ore fa ci racconta di movimenti lungo l’Arno che non mi piacciono neanche un po’. Gli stessi movimenti che lacerano il centrosinistra e tutto il paese da troppi anni. Pippo invece ha messo in secondo piano il ruolo del politico, rimettendo al centro quello della politica. Ha creato uno spazio dove ognuno di noi non solo ha potuto fare progetti e dare un contributo, ma è anche cresciuto e si è responsabilizzato. Ha fatto l’allenatore e non la prima punta. Sembra una sciocchezza, ma di questi tempi (che durano da circa 20 anni…) non lo è affatto.

Qui sta il salto di qualità di cui parlavo prima. Questo percorso lo abbiamo fatto insieme, credendoci e mettendoci del nostro, e tutti insieme ci siamo resi conto che l’obiettivo ora è cambiato. È ora di “guidare la macchina e non aggiustare i pistoni”, di passare “dalla rottamazione alla  motorizzazione civile”. Questa consapevolezza è cresciuta in noi con naturalezza ed entusiasmo (sostenuta dalla qualità del nostro lavoro), senza che le ambizioni personali (che ci sono, ed è giusto che ci siano, viste le capacità di molti) prevalessero sul nostro lavoro e sulle nostre speranze.

L’obiettivo che ci siamo dati non è mica uno scherzo. Cambiare il Pd e, con lui, l’Italia. Forse non ci abbiamo
fatto troppo caso, ma davanti alla svagonata di gnocco fritto che Nico ci ha preparato, ci siamo presi un bell’impegno. Prendiamoci agosto per digerire (a me servirà un mese perché ho esagerato…) e per riprendere slancio. Adesso inizia il bello.
Adesso tocca a noi.


http://www.ciwati.it/2011/07/26/1714/

5 luglio 2011

Alla faccia dei numeri....

Ho letto con interesse il pezzo che qualche giorno fa Filippo Zuliani ha scritto sulla Tav (http://www.ilpost.it/filippozuliani/2011/07/01/i-numeri-della-tav). Tralasciando la parte dove parla dei video di Travaglio (per cui anche il sottoscritto non ha grande simpatia) e sulle sue dichiarazioni sugli appalti che neanche io condivido, che mi è sembrata una citazione poco utile per inquadrare il problema, mi vorrei soffermare sui numeri, quelli che Zuliani afferma “esser branditi come clave” dai No-Tav. Numeri che hanno un senso se vengono collocati nella storia ventennale della Tav in Valsusa. Negli ultimi trent’anni i valsusini hanno sperimentato la realizzazione di molte opere, più o meno “grandi” (l’ultima in ordine di tempo, l’autostrada A32 TO-Bardonecchia), con risultati finali lontani anni luce da una seria ipotesi di sviluppo “strutturato” dell’economia. Ci tengo anche a dire che la Valsusa non è mai stata “contro” la ferrovia, tant’è che convive da oltre 150 anni con un’importante linea internazionale, ma vista l’assenza di una buona politica infrastrutturale e di sviluppo del territorio, i suoi cittadini e i suoi amministratori, di fronte all’ipotesi di realizzazione di una linea ferroviaria aggiuntiva che avrebbe dovuto togliere i camion dall’autostrada appena costruita, hanno cercato di capirne qualcosa di più.
Dal tempo della sua costruzione a oggi, la linea che percorre la Valle di Susa è stata oggetto di molti ammodernamenti che hanno dato alla linea attuale una potenzialità di traffico merci annuale pari a 15 milioni di tonnellate. Ad oggi però, transitano sulla linea circa 6-7 milioni di tonnellate di merci all’anno. In questo contesto, nel 1994 il governo francese e quello italiano costituirono una società chiamata Alpetunnel, incaricandola di studiare la fattibilità della costruzione del nuovo tunnel alpino (lungo oltre 50 km). I due governi sottoscrissero un documento che consegnarono alla società in cui si diceva che, qualora lo studio di fattibilità avesse dato esiti positivi, sarebbe stata proprio Alpetunnel la società incaricata per la costruzione dell’opera. Nonostante questo evidente conflitto d’interessi, Alpetunnel consegnò ai due governi uno studio in cui evidenziava l’inutilità della realizzazione di una nuova linea ferroviaria se l’aumento delle merci da trasportare fosse rimasto invariato e se i governi non avessero messo in atto politiche d’incentivazione per il trasporto su ferro. Nel 2001 Alpetunnel venne chiusa e venne creata la Lyon Turin Ferroviaire
In un primo tempo si pensò alla realizzazione di una nuova linea ad alta velocità, che connettesse la rete francese a quella italiana. Ma le verifiche condotte nella seconda metà degli anni Novanta evidenziarono che il traffico passeggeri, molto scarso, non giustificava la costruzione di nessuna infrastruttura dedicata. Ad oggi infatti, Rfi ha sospeso il traffico passeggeri tra le due città che fino a cinque anni fa era garantito da 4 convogli al giorno. Si passò pertanto all’idea di una linea mista, merci e passeggeri, sulla quale far circolare treni navetta adatti al trasporto camion (la cosiddetta “autostrada ferroviaria”), in grado di sfruttare la saturazione dei valichi stradali, la cosiddetta linea ad alta capacità.
Ma anche qui emersero delle incongruenze tecniche. La rete francese infatti è concepita esclusivamente come rete “ad alta capacità”, cioè destinata al traffico passeggeri. Il trasporto delle merci in Francia dunque, può avvenire solo sulle linee ordinarie.
Questi dati non scoraggiarono i promotori dell’opera che, supportati da una volontà politica by partisan, nel 2005 avviano le procedure per l’effettuazione delle campagne geognostiche sul territorio interessato dall’ipotetico tracciato. L’accelerazione dei lavori preparatori allo scavo del tunnel di base determinò gli scontri dell’inverno 2005. Per porre fine ad una situazione insostenibile, il Governo decise di istituire un Osservatorio tecnico, incaricato di esaminare le principali criticità evidenziate dagli Enti Locali della Valle di Susa e della cintura metropolitana. I lavori dell’Osservatorio evidenziarono come la linea fosse lungi dall’essere satura e come le capacità della stessa non sono le medesime da Modane a Torino:

  •  tratta di Alta Valle (da Modane a Bussoleno) à 20-32 milioni di t/anno
  •  tratta di Bassa Valle (da Bussoleno ad Avigliana) à 18-28 milioni di t/anno
  •  tratta “metropolitana” (da Avigliana a Torino) à 6-11 milioni di t/anno
Risulta così evidente come i problemi del trasporto merci tra Italia e Francia vanno cercati non in valle, bensì su quello che è stato chiamato “il nodo di Torino”. Una volta avviato il nuovo servizio ad alta capacità, senza interventi massicci di costruzione di nuovi tracciati in città, il nodo rappresenterebbe il principale “collo di bottiglia” per il traffico merci proveniente da Modane e diretto verso Milano. Un altro risultato importante dell’Osservatorio, ampiamente sottovalutato dai media, fu far emergere come i problemi relativi ai sistemi di trasporto non possono essere risolti soltanto realizzando nuove infrastrutture, senza adottare misure normative, economiche, tecnologiche e gestionali, organizzate secondo una politica coerente ed integrata.
I dati esposti sono stati elaborati dall’Osservatorio Tecnico voluto dalla Presidenza del Consiglio in cui i tecnici designati dalla comunità montana della valle di Susa hanno sempre avuto un ruolo propositivo. Questi dati non hanno fatto altro che confermare i dubbi nei confronti di un’opera che costerebbe circa 25 miliardi di euro, di cui solo poco più di 600 milioni finanziati dall’Unione Europea, e rimarrebbe una cattedrale nel deserto se la sua realizzazione non fosse accompagnata da una politica chiara che veicoli le merci dal trasporto su gomma a quello su ferro.
Alla luce di questi dati, gli amministratori valsusini elaborarono una proposta tecnica chiamata F.A.R.E. in cui si prospettavano una serie d’interventi per migliorare le performance della linea storia, operando “per fasi”, partendo dal nodo di Torino e non dal tunnel. Prima di questo però, chiesero l’inizio di politiche finalizzate al contingentamento del trasporto stradale a favore di quello su ferro. Questa prospettiva, per colpa di equilibri politici interni alle amministrazioni della Valsusa, purtroppo non fu difesa con la necessaria forza e, di fatto, non fu mai presa in seria considerazione.
Come avrete notato, in oltre 20 anni di storia, i protagonisti della storia dell’alta velocità/capacità sono stati molti. L’unica assente ingiustificata è stata la politica, che non ha saputo dare risposte alle domande legittime di un territorio che ha sempre soltanto chiesto di “contare” all’interno di un percorso che lo vede protagonista.  Questa ostinata volontà di non volersi confrontare ha portato a una contrapposizione radicale tra il fronte del SI e quello del NO e ha caricato di significati un problema che, prima ancora che politico, è tecnico. A oggi, dopo 20 anni di discussioni, proclami, commissioni e scontri, in valle non è ancora stata posata una traversina, a dimostrazione che la “strategicità” di questa nuova linea ferroviaria, sbandierata da più parti, è un teorema ancora tutto da dimostrare.
L’unico segnale fattoci pervenire dalla politica in questi ultimi 3 anni, sono stati i 300 milioni promessi dal governo per un ipotetico “Piano Strategico per le aree interessate all’alta velocità”. Peccato che quei soldi non siano mai arrivati. La politica dovrebbe incominciare a ragionare non “se” o “come” fare l’opera, ma quali politiche di sviluppo servono all’Italia per potenziare le sue infrastrutture nel rispetto dei territori, utilizzando il denaro pubblico in modo oculato e senza l’utilizzo della forza. 

http://www.ilpost.it/2011/07/05/tav-valsusa/
http://www.ciwati.it/2011/07/05/1579/