31 agosto 2014

Benvenuto Fausto



Venerdì sera, 29 agosto 2014, a Todi, Fausto Bertinotti, partecipando ad un’iniziativa pubblica ha dichiarato che “il comunismo ha fallito e che è stata la cultura liberale quella che più di tutte ha difeso i diritti dell’individuo”. Questa ammissione avviene alla fine di un ragionamento che parte dalla sua giovinezza, dagli ideali che lo hanno animato, dalla “lotta per l’uguaglianza per gli uomini falsificata dall’Unione Sovietica. E adesso non mi dite per favore che non si sapeva niente di cosa accadeva in Unione Sovietica, e che bisognava attendere il 1956 o Praga!”.
Ovviamente queste parole stanno facendo il giro della rete.E il primo ricordo, per forza, va subito a quelle stagioni dell’Ulivo e dell’Unione che hanno visto Bertinotti e Prc fare da contraltare alla parte riformista della coalizione e a Romano Prodi. Stagioni che hanno suscitato grandi speranze e che sono finite (brevemente) tra ripicche, capricci, imboscate parlamentari, discussioni infinite sul nulla. Bertinotti oggi, (ripeto, oggi!) ammette quello che ai più era chiaro già da un po’ (infatti la sinistra da lui rappresentata non entra in Parlamento dal 2008).
Arriva un po’ tardino, se posso dire. Ma basta leggere la sua storia politica per capire che il buon Fausto e shiftato rispetto alla realtà di 15 anni buoni, sempre e comunque. Entra nel PCI nel 1972 (quasi dieci anni dopo la morte di Kennedy, a proposito di “liberal”) e si avvicina ad Ingrao in opposizione a Berlinguer (sì, sì, quello stesso Berlinguer che adesso campeggia sulle locandine delle feste in rosso di mezza Italia…), nel 1992 non aderisce al Pds e poi, dal 1996 in poi, è al centro di tutte le vicende che ricordiamo bene.
Ora, ognuno fa le sue scelte e segue i suoi percorsi. È legittimo. Certo che se queste scelte e questi percorsi diventano punti di riferimento per una fetta considerevole della società, forse bisognerebbe essere un po’ meno “frivoli” e un po’ più certi di cosa si sta facendo. Soprattutto bisognerebbe rendersi conto che il modo in cui si portano avanti queste scelte e questi percorsi, non sono indifferenti rispetto all’esito delle battaglie che si portano avanti.
Mi viene in mente il social forum di Genova del 2001. Un momento rivelatore della crisi del capitalismo per come lo abbiamo conosciuto. Il primo momento rivelatore. Un’occasione che la politica, e in particolare la sinistra che una volta amava definirsi “radicale”, non ha saputo intercettare, analizzare e trasformare in proposta, lasciando che pochi violenti mandassero tutto in vacca.       
Il miglior biografo di Bertinotti a questo punto rimane Corrado Guzzanti, quando lo imitava dicendo che “al voto utile bisogna anteporre il voto dilettevole” o che “uno non deve andare contro la sua natura che è fare gli scherzi e rompere i coglioni”.
Ma a parte le battute, la cosa che più mi fa pensare di questa vicenda è che l’onesta intellettuale a scoppio ritardato di Bertinotti cozza proprio con il concetto stesso di sinistra, quello di cui lui molto sovente si è autoproclamato tenutario unico.
Perché la sinistra ha il compito, probabilmente un po’ ingenuo e onirico, di cambiare il mondo. Di immaginarne uno nuovo, diverso, futuro ma (si spera) prossimo. Arrivare sempre in ritardo, limitarsi a leggere il passato e cercare lì le chiavi di lettura del mondo di oggi (anzi, di ieri) è una cosa molto più di destra.
In ogni caso, benvenuto nel 2014 Fausto. Attendiamo per il 2030 una dichiarazione sugli 80 euro "che alla fine così schifo non facevano..."  

28 agosto 2014

Renziani nonostante Renzi

Oggi Menichini ci racconta cosa sta succedendo nel Pd emiliano in vista delle primarie per la scelta del candidato alla presidenza della Regione.
"Il Pd emiliano sceglie tra renziani e renziani" scrive il direttore di Europa, tracciando il profilo dei due candidati Richetti e Bonaccini e facendo emergere i profili di due persone che sono arrivati a sostenere il premier con percorsi diversi e in momenti diversi. "Per vedere chi vincerà torneremo lì dove il rottamatore cominciò a tramutarsi in segretario. (...) Nella regione che sempre ha deciso le sorti della sinistra italiana. Sarà in Emilia Romagna che assisteremo alla prima conta interna del Pd 2.0".
Sono d'accordo fino ad un certo punto. 
Perchè se la competizione in Emilia è fatta con questo spirito, con questi protagonisti e con queste prospettive politiche, viva la competizione!
Mi piacerebbe che Menichini si facesse un giro a Torino, per vedere come funziona qui il Pd, chi sono e come si muovono i principali sostenitori del premier. Da Fassino a Gariglio per arrivare a Morri e Quagliotti. In mezzo, una pletora di assessori, consiglieri comunali, funzionari di partito, ecc. In molti casi riconvertiti al verbo renziano dopo l'esplosione del gruppo dirigente bersaniano, con una giravolta fatta con una non chalance da fare invidia a Roberto Bolle.
Gente che la pensa in maniera diversa su tutto e che si è fatta la guerra per anni, ma che oggi è pronta anche a farsi l'abbonamento alla Fiorentina se è necessario. 
Qui da noi, caro Menichini, ci sono tantissimi renziani che con Renzi e la sua carica di rinnovamento (che io trovo ahimè sempre più affievolita) non hanno proprio nulla a che fare. Gruppi organizzati che stanno insieme per spirito di sopravvivenza e che si fanno la guerra ad ogni occasione buona, cioè quando ci si deve candidare a qualcosa. 
E non è solo una questione di coerenza o di tempistica. Paradossalmente, anche io potrei essere annoverato tra i "renziani della prima ora" visto che sono stato uno dei pochi torinesi a parlare dal palco della prima Leopolda. E' questione che, in Emilia come in Piemonte come in tutto il resto d'Italia, il Pd prende il 41% per merito di Renzi e per assenza di avversari credibili. I protagonisti locali però, e soprattutto le pratiche politiche, sono sostanzialmente invariati.
E allora il punto non è "assistere alla prima conta interna del Pd 2.0", ma chiedersi se esiste un futuro per un partito che quasi non esiste più perchè ha deciso di affidarsi in toto al suo leader non per convinzione, ma solo perchè si è stufato di perdere. Un luogo dove si discute poco, non si decide quasi nulla (quello lo si fa coi caminetti), si fa pochissima formazione e selezione di classe dirigente. 
In queste condizioni, quando non ci sarà più Renzi o si riaffacceranno degli avversari, che ne sarà del nostro 41%? Ma soprattutto, quale sarà la nostra proposta?

 
 

24 agosto 2014

Ciao maestro

Con la barba lunga e curata, l’odore di pipa che lo seguiva ovunque, la uno verdone stracarica di libri e letteralmente sommersa di fiammiferi usati.
Uno spirito libero.
Un piccolo ricordo di Gigi Lombardo, il maestro Gigi, che ho scritto per Valsusaoggi e che trovate qui.

15 agosto 2014

Domani ricomincia la Premier

Il campionato di calcio più ricco, seguito e soprattutto combattuto al mondo. 
Sì perchè se la scorsa stagione se la sono giocata fino alla penultima giornata Manchester City, Liverpool e Chelsea, quest'anno credo che a contendersi la coppa con la corona saranno almeno cinque/sei squadre.
Il City avrà il dovere di difendere il titolo, ma dubito ci riuscirà. La campagna acquisti praticamente non si è vista, Hart inizia a non essere più quella gran garanzia tra i pali mentre davanti i vari Dzeko, Aguero, Fernandinho, Nasri e Negredo sono collaudati ma forse un po' prevedibili. L'unica novità; l'arrivo di Frankie Lampard per sei mesi, cosa che ha fatto infuriare non poco i tifosi del Chelsea.
Il Liverpool l'anno scorso si è letteralmente mangiato il titolo, nonostante aver giocato a lungo il miglior calcio d'Inghilterra e aver avuto in rosa un certo Luis Suarez. Ecco, quest'anno l'uruguaiano (31 gol in 38 partite + una quindicina di assist) giocherà per il Barcellona, e credo che già questo dica molto. Degli oltre 90 milioni incassati ne son stati spesi 30 per Lallana, 25 per Lovren e 7 per Lambert (facendo ricco il Southampton visto che tutti e tre provengono dai Saints), un centrocampista, un difensore e un attaccante classe 1982. Insomma, il progetto sembra chiaro. Stagione di assestamento e di crescita, puntando tutto sui due fenomeni Sturridge e Sterling. Io farò il tifo per loro, ma credo che l'obiettivo più ragionevole sia entrare in Champions piuttosto che vincere il campionato.
Le favorite a mio avviso sono altre. E cioè, nell'ordine, Chelsea, Manchester United e Arsenal.
Ai blues piace vincere facile. Specialmente a Mourinho. Dopo l'abbuffata europea delle ultime due stagioni l'anno scorso i londinesi si sono persi per strada a fine stagione. Fuori dalla Champions in semifinale e fuori dai giochi Premier alla penultima giornata. Quest'anno però la rosa a disposizione dello Special One non ammette fallimenti. Courtois in porta, Filipe Luis dietro, Fabregas in mezzo al campo, Diego Costa e Drogba davanti. In più, i soliti Hazard, Oscar, William, Schurrle, Ramires, Torres, ecc, ecc. Insomma, a leggere i nomi non ci dovrebbe essere partita (al netto dei dubbi che ho su Diego Costa e su Fabregas, il primo sopravvalutato, il secondo in crisi), ma credo che il maestro di Mourinho, Luis Van Gaal, non sia salito all'Old Trafford per farsi una scampagnata. La rosa dello United non ha ricevuto scossoni significativi, a parte gli inserimenti di Shaw, Herrera e Anderson, ma il cambio di allenatore credo sarà decisivo. Con il tridente Van Persie-Welbeck-Rooney poi sognare è legittimo.
Occhio però anche all'Arsenal. I biancorossi hanno ritrovato fiducia e soprattutto una coppia Ozil-Cazorla che in mezzo al campo fa un po' quello che vuole. Se poi ci mettiamo anche il neo campione del mondo Podolski, l'acquisto dell'estate Alexis Sanchez, i due baby fenomeni Wilshire e Ramsey ma soprattutto il 3-0 con cui ha liquidato il City in Community Shield la dice lunga sulla fame dei gunners.
Oltre a queste cinque, occhio al Tottenham e all'Everton, che non vinceranno la Premier ma credo possano diventare degli "arbitri" molto severi in certi scontri diretti.
E niente. Fate come me. Divertitevi!

8 agosto 2014

L'informazione, il PIL, la (de)crescita, la politica e noi

Ieri sera mi sono riguardato un paio di puntate di The Newsroom, una serie tv americana dedicata al mondo dei media, di come vengono date (e spesso costruite) le notizie, del rapporto tra politica e informazione e delle scelte che ognuno di noi può fare per darsi i giusti strumenti per comprendere e soprattutto giudicare le cose che capitano. 
Ovviamente negli Usa The Newsroom ha avuto un grande successo e ha aperto dei dibattiti su tutti questi argomenti, qui da noi invece non si l'è filata nessuno. La serie inizia con il protagonista, anchorman di successo e repubblicano convinto, che ad un seminario in un'università parla così del suo paese: "Eravamo il più grande Paese del mondo. Lottavamo per ciò che era giusto (...) Dichiaravamo guerra all povertà, non ai poveri. Facevamo sacrifici e non ci battevamo il petto. Abbiamo costruito grandi cose, fatto avanzamenti tecnologici pazzeschi (...). Siamo arrivati alle stelle, abbiamo agito come uomini. Aspiravamo all'intelligenza. Non la sminuivano. (...) Il primo passo nel risolvere ogni problema, è riconoscere che ce n'è uno".
Sempre ieri Massimo Russo, direttore di Wired, ha scritto questo pezzo sui dati del Pil pubblicati due giorni fa che hanno certificato il ritorno dell'Italia in una fase recessiva.
Un pezzo a mio avviso eccessivamente critico nei confronti del governo, ma che per lo meno pone delle domande precise e che dà una lettura di quello che ci sta succedendo intorno, che non riguarda solo chi sta a Roma ma dovrebbe riguardare tutti noi.
Ma qual è il nesso tra una serie tv americana e un editoriale che parla di noi, dell'Italia?
Il nesso sta in queste parole: "Con il nostro comportamento, mostriamo ogni giorno – mentre siamo nel mezzo di una rivoluzione pari solo a quella del ’700 con la machina a vapore – di voler stare con quanti si stendevano per strada per non far passare i telai meccanici. Preferiamo  essere spazzati via dalla storia invece di cogliere le opportunità del cambiamento. (...) stiamo lì a grattarci la testa e a meravigliarci dello 0,2%. Una cosa è certa. Almeno abbiamo provato sulla nostra pelle che 10 anni di decrescita non sono per nulla “felici”. Ma ancora preferiamo puntare il dito – a  buon mercato – contro chi ha portato la Concordia sulle secche del Giglio. Invece di rimetterci in discussione e provare a raddrizzare un paese spiaggiato nella conservazione".