23 dicembre 2012

Il senso di una sfida: #primarieparlamentari



Come probabilmente avrete letto in questi giorni sui giornali, ho raccolto le firme per poter partecipare alle primarie per i parlamentari del Pd. Io non ho voluto commentare o rilasciare dichiarazioni. La priorità erano gli iscritti e la partecipazione e non ho voluto rincorrere le veline dei giornali e le loro ricostruzioni fantasiose. Ora però tutto è finito e vorrei fare un po’ di chiarezza sulla mia candidatura, visto che ho letto veramente di tutto.
Quando il partito ha deciso di selezionare i suoi parlamentari con le primarie, alcuni amici e compagni di partito mi hanno contattato per chiedermi se avevo intenzione di partecipare anche io e si sono messi a mia disposizione. Per evitare confusioni e fraintendimenti e perché non erano ancora state decise le regole per partecipare alla competizione, ho preso tempo.
Lunedì sera si è riunita la direzione nazionale e ha reso note le regole del gioco: per candidarsi, bisogna raccogliere il 5% delle firme degli iscritti della Provincia di residenza. Nel nostro caso, 400 firme. Un’enormità. Una cifra raggiungibile solo da chi può contare su un numero elevato di iscritti.  È stato in quel momento che ho deciso di provarci, sapendo benissimo che sarebbe stato impossibile raggiungere il numero di firme necessarie. L’ho voluto fare lo stesso perché sono due anni che lavoro per le primarie per i parlamentari, anche in valle. Ho raccolto firme, fatto iniziative, discusso con i compagni. Ho partecipato all'elaborazione del documento a firma Salvatore Vassallo-Giuseppe Civati che è stato preso come base per il regolamento nazionale. Esserci, per me, significava "rivendicare" quanto fatto fino ad oggi, provare a mettere l'accento sul rinnovamento e sulla partecipazione attiva degli iscritti. Perché la soddisfazione per la scelta delle primarie si era subito trasformata in amarezza nel vedere regole stringenti, fatte apposta per mantenere in piedi un gruppo dirigente che litiga su tutto ma che quando c’è da auto conservarsi diventa unitissimo.
Il Parlamento di nominati, che è stato sciolto ieri, verrà sostituito da un Parlamento con molti “signori delle tessere” o dirigenti locali di lungo corso. Dopo l’apertura al rinnovamento durante le primarie per il premier, lo spazio per la partecipazione è stato nuovamente ristretto.  
Ho perciò voluto dare un segnale. Far vedere che chi vuole cambiare davvero la politica non si arrende, ci prova con onestà e trasparenza e, pur non condividendo le regole del gioco, fa di tutto per giocare. 
Altro che raccolta firme contro qualcuno, come ho  letto sui giornali! 
Raccolta firme per il Pd. Per cambiarlo davvero, per non cedere un centimetro, rischiando di prendere schiaffoni ma puntando i piedi. Perché ci sono tanti iscritti che non si sentono più rappresentati da nessuno, a Roma come a Torino e anche in valle, e che si sentono parte di una comunità che vogliono vedere cambiare.
Ho spiegato a chi mi aveva contattato e ad altri (con una riunione aperta) le mie ragioni e loro hanno convenuto con me sulla necessità di provarci comunque. Li voglio ringraziare di cuore questi compagni, che si sono messi pancia a terra nelle sezioni della valle a spiegare le ragioni di questa scelta. È stato un lavoro estenuante, da Rosta a  Bussoleno passando per la Valsangone fino ad arrivare a Bardonecchia. Una vera e propria “ricognizione” casa per casa, iscritto per iscritto. Parlando, ma soprattutto ascoltando. Raccontando il lavoro fatto in questi due anni dentro e fuori il Pd, dalla battaglia per le primarie e per la cittadinanza ai cittadini stranieri alle iniziative sul rinnovamento della classe dirigente fino ad arrivare a quelle sul lavoro, vera emergenza nazionale e anche valsusina. Abbiamo ascoltato le perplessità ma anche la voglia di crederci ancora. Io, personalmente, ho visto la soddisfazione di tanti compagni nel vedere “un giuinot” provare a prendere il testimone e continuare a occuparsi di politica.
Abbiamo raccolto un centinaio di firme. Vere e sudate. Firme di peones come me, liberi, senza capibastone a cui dover rendere conto, che si iscrivono ogni anno esclusivamente perché credono di dover dare una mano anche loro. Sono stato poi contattato da alcuni ragazzi non valsusini che ho conosciuto in questi anni e con cui ho condiviso tanto. La loro candidata si era ritirata e mi hanno offerto il loro aiuto (e le loro firme). Una telefonata inaspettata, che mi ha fatto piacere e che mi ha fatto capire che il lavoro fatto non è stato inutile. Li ho ringraziati di cuore ma ho rifiutato. Sarei arrivato ad oltre 150 firme, che sarebbero state inutili per il risultato finale ma soprattutto non erano firme raccolte per me. Fatto questo conto, sono andato in federazione e ho annunciato il mio ritiro.   
Ho vissuto quattro giorni intensissimi. Non sono stato quasi mai a casa facendo arrabbiare la mia fidanzata  e sono stato contattato da mezzo mondo, ricevendo incoraggiamenti e “suggerimenti” a fare un passo indietro. Mi sono stancato a morte guidando tantissimo e consumando più volte la batteria del telefono.
Non chiedevo di meglio. Misurarsi è sempre entusiasmante, prendere parte ad un’avventura così importante poi fa venire le vertigini, anche se ci sono state molte cose che non mi sono piaciute. Da come è stata utilizzata la mia candidatura sui giornali, alle voci messe in giro ad arte da alcuni “compagni”, un po’ per screditarmi, un po’, temo, per incapacità di analisi o per la non volontà di accettare il fatto che un periodo storico e politico, anche in valle, è finito. Non sono una persona rancorosa e su queste cose voglio andare oltre. Ci sarà il tempo e il modo per discuterne nelle sedi opportune.
In questa avventura, che è stato un “viaggio in gruppo”, ci abbiamo messo la faccia in tanti e abbiamo consumato tante suole. In queste occasioni ha torto chi non partecipa, chi non ci prova, chi sta a casa a lamentarsi. Perché è in queste occasioni che emerge il collante di una classe politica che litiga su tutto: e questo collante è l’autoconservazione, da inseguire in ogni modo. Ed è ora che questa storia finisca.
In queste occasioni il metodo è merito, perché cambiare la politica non vuol dire cambiare solo i protagonisti, vuol dire soprattutto cambiare i metodi con cui la si fa. E questi non si cambiano a parole, ma con l’esempio.
Il senso della nostra sfida è stato questo.
Tutto il resto sono chiacchiere da bar, semplificazioni o strumentalizzazioni, alcune chiaramente inconsapevoli, altre tristemente consapevoli.
Ringraziando tutti quelli che mi hanno sostenuto, vi posso garantire fin da ora che continueremo a fare come abbiamo fatto in questi giorni. Perché ci piace così. Perché è giusto così. Perché meritiamo, tutti, qualcosa di meglio di quello che c’è.

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