16 maggio 2013

I villaggi Potëmkin e l'Italia che verrà

L'unica cosa che ha convinto tutti questi cantori del declino è la consapevolezza della loro assoluta mancanza di talento». Nel corso della sua storia recente, l'Italia ha superato crisi ben più gravi di quella attuale. La generazione dei nostri nonni si è trovata a dover ricostruire il Paese dopo una guerra mondiale. Quella dei nostri padri ha vissuto una stagione nella quale la violenza degli opposti estremismi ha messo a repentaglio la tenuta stessa delle istituzioni democratiche. Ne siamo usciti ogni volta a testa alta. Con un Paese più solido, più prospero e più civile. Oggi ci troviamo di nuovo di fronte a un bivio. Una stagione politica si è chiusa senza meritare neppure l'onore delle armi: il ventennio della Seconda Repubblica ha narcotizzato l'Italia mentre il resto del pianeta si trasformava a ritmi sempre più vertiginosi. Adesso è il momento di decidere che Italia vogliamo. Un Paese che si rassegna alla spirale del lento declino perché ne ha viste troppe e non crede più in nulla. Oppure un'Italia che ha ancora davanti a sé i suoi giorni migliori, una nazione giovane – in confronto ai venerabili Stati che ci circondano – che deve ancora realizzare il vero potenziale del suo stare insieme. La nostra convinzione è che oggi la maggioranza degli italiani, di tutte le età e di tutti gli orientamenti politici, voglia il cambiamento. Le resistenze, beninteso, esistono. Ma questo è uno dei rari momenti nei quali il desiderio di svoltare pagina è più forte di quello di conservare l'esistente. A patto di voler davvero uscire dal villaggio e dalle sue logore scenografie, senza avere più paura".

Le ultime righe di un bellissimo pezzo di Andrea Romano e di Giuliano da Empoli, uscito sull'ultimo numero di IL, una rivista che vi consiglio di cuore.

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