31 marzo 2015

Volere la luna. Anche una legge elettorale però va bene.

Eduard Bernstein è stato uno dei più importanti socialdemocratici di fine '800.
Conobbe Engles a Londra e, pur trovandosi d'accordo con lui e Marx sulla struttura sociale che avevano descritto, sui meccanismi economici e politici che regolavano il mondo del lavoro di allora, e anche sulla necessità di instaurare un nuovo corso sociale fondato sul potere ai lavoratori, polemizzò profondamente con loro su come raggiungere questo obiettivo. Non attraverso una spinta rivoluzionaria ma attraverso un'opera di modernizzazione permanente del capitalismo. Attraverso un'azione di contrattazione tra lavoratori e capitani d'industria. Attraverso una pratica politica riformista. La sua idea di società, di innovazione e di politica si riassume nel suo motto più famoso: "il fine è nulla, il movimento è tutto".
Ieri sera, riascoltando qualche intervento della direzione nazionale del PD dove si discuteva della legge elettorale, mi è tornata in mente la frase di Bernstein.
Perchè forse questa legge elettorale potrebbe essere migliore.
Perchè resto convinto del fatto che un ritorno al tanto odiato e poi tanto rimpianto Mattarellum sarebbe stata la cosa migliore.
Perchè credo che i capilista scelti dai gruppi dirigenti di questi partiti ormai insesistenti rischino di essere scelti in base a criteri di fedeltà e non di merito. 
Però, ci sono dei però.
Perchè a forza di aspettare e litigare su una legge migliore, rischiamo di andare a votare ancora una volta con questa schifezza che abbiamo adesso.
Perchè quelli che oggi criticano l'Italicum e chiedono un ritorno al Mattarellum, sono in gran parte gli stessi che il Mattarellum potevano reintrodurlo, ma non lo han fatto.
Perchè credo che il problema dei capilista bloccati si possa superare con le primarie, cosa su cui Renzi si è impegnato e su cui bisogna vigilare e chiedere conto.
Perchè sono convinto che la storia non si esaurisca con un voto parlamentare, ma vada avanti nonostante i Renzi, i D'Alema, i Fassina e i Giachetti, e il Parlamento (presumibilmente il prossimo o quelli che verranno) potrà ricominciare a discutere di legge elettorale altre cento volte, se è necessario e se ci saranno le condizioni.
Questo è "il movimento" di Bernstein. Questa è l'essenza del riformismo.
Un pezzo del mio partito invece ha deciso di andare allo scontro totale, cercando un casus belli che difficilmente sarà capito da chi dobbiamo convincere a votarci ma soprattutto non valorizzando manco un po' le modifiche all'Italicum che erano state richieste e accolte, trasformando così una vittoria in una sconfitta.
Credo che dietro a tutto questo ci siano alcune ragioni politiche ma soprattutto un senso di rancore nei confronti di Renzi, "reo" di aver fatto saltare il tappo ad un partito imbottigliato nel passato di chi lo aveva fatto nascere, ma forse mai davvero nato. Questo però è stato deciso da un congresso, mica da un golpe. 
Ieri è stato il giorno, oltre che dell'Italicum, anche dei 100 anni di Pietro Ingrao, che qualche anno fa scrisse un bellissimo libro intitolato "Volevo la Luna". Condivido in pieno lo spirito di quello scritto: volare alto, darsi obiettivi al limite dell'impossibile, rilanciare sempre. Vivere "in movimento" insomma. Ingrao di sicuro non era un riformista, però aveva capito che per volere la Luna, o almeno una legge elettorale, la testimonianza non basta.      
  





 
  

25 marzo 2015

1992: una riflessione

Ieri sera ho visto i primi due episodi di "1992", la serie di Sky dedicata a Tangentopoli. Il taglio che è stato dato è molto spettacolare e in alcuni tratti un po' sopra le righe (è una fiction del resto). Una sorta di "grande bellezza" senza lustrini, paillettes e champagne.
Emerge però una cosa, forse per la prima volta in maniera così evidente. Che se il sistema era malato, e lo era, la colpa era di tutti. Dei corrotti innanzitutto, che non hanno servito la Repubblica "con disciplina e onore", come recita la Costituzione. Dei corruttori, che hanno creduto non nel loro lavoro ma nel loro arricchimento, investendo in tangenti invece che nelle loro aziende mandandole all'aria.
Di un Paese, il nostro, molto cattivo e molto spregiudicato a cui, in fondo, andava bene così. Come scrive Feltri in un pezzo molto bello, uscito ieri: "non è la storia di Mani pulite ma la storia di Tangentopoli, e cioè non è la storia del drappello di pm bensì la storia di come eravamo, noi abitanti della città delle mazzette".
La prima fiction su quegli anni, che io ricordo a malapena come un rumore di fondo nel tg della sera, mentre mangiavamo cena, mi fa riflettere su due cose: la prima è che, passati più di vent'anni, quei mesi così intensi si stanno storicizzando. C'è quindi la possibilità di iniziare a riflettere su quello che è accaduto con un po' meno pathos, un po' più di distacco e di oggettività, comprendendo cosa è successo ma soprattutto, e qui la seconda riflessione, cosa ha generato la caduta della Prima Repubblica: non la rinvicita dei giusti, ma l'assalto alla diligenza da parte dei peggio burocrati, politici, affaristi e feccendieri, incarnati e degnamente rappresentati da un uomo solo.