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24 aprile 2015

Il mio Juve-Real

Quella sera del 14 maggio ero in Nord, come sempre.
Arrivai allo stadio prestissimo, credo poco prima delle 19.
C'era ancora il sole alto, l'odore dell'erba tagliata e bagnata da poco.
Si stava benissimo, come si sta in quelle sere di primavera appena inoltrata che sanno già un po' d'estate.
Quelle sere che, nel calcio, significano partite che contano. Partite che giocano quelli che sono arrivati in fondo e che hanno una storia tutta loro.
Io non vedevo l'ora che si iniziasse a giocare, ma ricordo benissimo che mi son goduto l'attesa del calcio d'inizio secondo per secondo. Seduto sul mio seggiolino, guardandomi intorno, chiaccherando con gli amici che erano con me.
Vedemmo il Delle Alpi riempirsi pian piano, così come pian piano saliva la nostra tensione.
Arrivarono i tifosi del Real, tantissimi e tutti caldi come il fuoco.
Verso le 20 entrò in campo la Juve, per il riscaldamento. Alla spicciolata, con concentrazione ma anche leggerezza. Ad accogliere i nostri, un boato pazzesco e un urlo solo: "Juve, Juve, Juve!".
Poco dopo, mentre tutto lo stadio stava ancora cantando, entrò il Real. Tutti insieme, tutti bianchi, carichissimi. Giuro, per un paio di secondi scese il gelo. Un gelo rotto subito dai nostri fischi e dalle urla dei tifosi madridisti. Erano tutti lì. Erano i galactios. Facevano paura. Hierro, Raul, Figo, Ronaldo, Morientes, Roberto Carlos, Guti, Cambiasso.
E poi Zinedine Zidane. Il nostro, Zinedine Zidane.
Pochi minuti dopo la partita iniziò, e sapete tutti come andò a finire.
I gol sotto la Nord di quei DelPieroTrezeguet che sembra quasi il nome di un giocatore solo per quante volte son finiti insieme sul tabellino. Un rigore pazzesco parato da Buffon, ancora sotto di noi. E poi l'apoteosi Nedved. Una stagione stellare che in 10' toccò il suo punto più alto e poi quello più basso. Un gol pazzesco da fuori area e quel giallo che gli precluse la finale e che, di fatto, sancì la nostra sconfitta in quella Champions dominata. Era la nostra certezza. Quell'anno con lui si vinceva, senza di lui non c'era nulla da fare. E infatti a Manchester, non ci fu nulla da fare.
Quel Juve-Real 3-1 (che si deve leggere tutto di un fiato) è stata l'ultima semifiinale di Champions della Juve e probabilmente una delle partite più belle della sua lunga storia.
Non credo che questa semifinale finirà così. Anzi, credo che dobbiamo viverla per quello che è. Una partita importante contro una squadra fortissima.
Bisogna crederci ma non illudersi.
La bellezza starà però in quel clima di attesa, di tensione, di voglia di giocare. Starà nel sole che va via mentre lo stadio si riempie e nell'odore dell'erba appena tagliata. Starà nella gioia di vivere di nuovo da protagonisti un momento di grande sport.
   





29 maggio 2013

1985-2013. Per non dimenticare l'Heysel

Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, si è giocata la finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus.
Prima dell'inizio della gara, un gruppo di hooligans inglesi attaccò i tifosi italiani, provocando il crollo di un pezzo di una gradinata dello stadio sotto cui rimaserò uccisi 39 tifosi.
La partita venne fatta giocare lo stesso, con molto ritardo, tenendo i giocatori delle due squadre all'oscuro della gravità di quello che era successo.
Vinse la Juve, con un rigore inesistente realizzato da Platini.
La storia siamo noi ha realizzato uno speciale per ricordare quella disgrazia che resta, ancora oggi, uno dei momenti più tragici della storia del calcio europeo.  

3 aprile 2013

Una partita e un libro

Sto leggendo questo libro di Mario Sconcerti, molto interessante sia dal punto di vista calcistico, sia dal punto di vista "culturale". In un Paese come il nostro, che senza il pallone non ci può stare, tutto il movimento calcistico pecca ancora oggi di un grande provincialismo e di un gap di infrastrutture, programmazione e visione d'insieme che fa spavento. Un vero e proprio specchio dell'Italia.
Vedendo Bayern-Juve mi son tornate in mente molte delle pagine lette in questi giorni.
Perchè se è vero che la partita di ieri sera è iniziata male ed è finita peggio, con una Juve mai in partita, impaurita e quasi arrendevole, scarica di testa prima ancora che di gambe, è anche vero che ambire ad essere tra le quattro squadre più forti del mondo (perchè così è) non basta più dominare a casa propria, comprare qualche buon giocatore ogni tanto e sperare nei sorteggi.
Al di là della singola partita sono tante le riflessioni da fare.
Bisogna avere luoghi adatti dove giocare e dove monitorare, selezionare e far crescere i propri campioni (guardate l'età media del Bayern). Bisogna attrarre investimenti per potersi permettere una visione un po' più lunga ma soprattutto un po' più "ampia", cioè guardare cosa capita al di là delle Alpi, senza paura di farsi contaminare e di cambiare le proprie convinzioni.
E non è solo una questione di business, è anche una questione tecnica e tattica. In Inghilterra, Spagna e Germania non solo girano più soldi, ma girano anche più idee. Si gioca un calcio diverso. Loro vincono. Noi no. Ci sarà un perchè.
Credo che la Juventus sia la società italiana in questo momento più all'avanguardia e che Conte sia l'allenatore più innovativo che abbiamo, ma è evidente che non basta ancora.
Italia contro resto del mondo è divertente se si gioca a piedi nudi in spiaggia con gli amici.
Nella realtà si rimediano solo brutte figure.  

28 marzo 2013

Bella Francè!

Oggi Francesco Totti festeggia vent'anni con la maglia della Roma. Un tempo incredibile, una fedeltà commovente.
Un campione di quelli che ne vengono fuori uno ogni venti-trent'anni.
La Gazzetta dello Sport lo ha voluto celebrare con un'intervista a 360°, ricca di aneddoti, riflessioni e immagini di un calcio che oggi può sembrare lontanissimo ma che io ho in mente come se fosse ieri (perchè alla fine, 30 anni, son pochi solo per far politica...).
Non so cosa passi per la testa a Totti. Credo però di sapere cosa stiano vivendo i tifosi romanisti.
In massa allo stadio o davanti ai televisori, sanno bene che lo spettacolo è agli sgoccioli. Le punizioni, gli assist, i rigori, il pollicione in bocca son momenti da godersi fino in fondo, consapevoli che tra non molto calerà il sipario.
Lo so bene perchè l'ho vissuto io l'anno scorso, quando tra i "no comment" e i "vedremo" si sapeva benissimo che sarebbe stata l'ultima stagione di Del Piero alla Juve. Lo sapevamo perchè i gol con la Roma, con la Lazio o con l'Atalanta all'ultima di campionato avevano un gusto diverso. Ogni volta che Ale entrava in campo, tirava una punizione o faceva un passaggio, a me prendeva un po' di malinconia e anche di rimpianto.
Mi rendevo conto che si stava chiudendo un'epoca sportiva ma, sembra stupido, anche una fase della mia vita, come scrissi qui in quei giorni.
Oggi Francesco Costa, romanista sfegatato, si pone la stessa domanda. E dopo?
Dopo sarà strano ma bello. Dopo ci si guarda indietro e ci si accorge di essere un po' meno bambini e un po' più uomini.


    

28 febbraio 2013

Rassegna Stampa - Intervista a LaValsusa

Sabato mattina ho fatto due chiacchiere con Mario Tonini.
Abbiamo parlato un po' di me, di Condove, del Pd e del futuro.
Ne è uscita un'intervista pubblicata oggi su LaValsusa.
Cose che restano, nonostante lo tsunami 

1 dicembre 2012

Stasera c'è Juve-Toro.

Stasera si gioca il 185° derby della Mole.
Una partita che mancava da tre anni e mezzo e che l’ultima volta fu risolta nei minuti finali da un’inzuccata di Giorgione Chiellini. Non una grande partita, come gran parte di quelle che si sono giocate negli ultimi anni.
Il su e giù del Toro dalla A alla B e il post Calciopoli della Juve hanno negato ai tifosi di Torino, e a tutto il calcio italiano, una sfida sentitissima, che come tutti i derby andava oltre i confini del calcio.
La squadra del padrone ricca, vincente e “influente”, infarcita di giocatori coi piedi di fata contro l’undici operaio tutto corsa e muscoli. Quelli favoriti, sempre e comunque, contro quelli che hanno il mondo (e anche il destino) contro. La Juventus, prima squadra di calcio della città, contro il Torino, fondata da “dissidenti” juventini, scontenti di come veniva gestita la società all’inizio del ‘900.   
Stasera più che due squadre si incontrano due modi di intendere il calcio e la vita, ma soprattutto tantissime storie personali e ricordi belli o brutti. Dalle vittorie granata all’epoca del Grande Torino ai calcioni rifilati a Sivori negli anni ’60. Dalle sfide scudetto degli anni ’70, con Anastasi e Bettega da una parte e Pulici e Graziani dall’altra, fino al Toro-Juve in sordina di inizio anni ’90.
E poi i “miei derby”. La doppietta di Conte nel 1993 e quella di Rizzitelli nel 1995 (ultima vittoria torinista), l’errore di Salas nel 3-3 da brividi del 2001, le corna di Maresca al primo gol in serie A nel 2002, il tacco volante di Del Piero nel 2003, le botte Bonomi-Davids, il gol di Trezeguet col piede in fuorigioco nel 2007.
Quando ero un piccolo ultras anche io, e per me il derby si vedeva solo allo stadio, mi divertiva un sacco questa scena. Se segnavamo noi, urla, grida, un bordello infinito e poi tutti a mandare sms ai nostri amici granata. Se segnavano loro, il boato si sentiva lontano, mentre la nostra curva era un “bip-bip” unico, e tiravamo fuori il cellulare dalla tasca con la voglia di lanciarlo in campo.
Forse la cosa più bella sul derby l’ha detta Boniperti, descrivendo le sensazioni che aveva provato nel battere un rigore in Juve-Toro di oltre sessant’anni fa. “Riuscivo a vedere i tifosi del Toro negli occhi, credevo stessero per venirmi tutti addosso. Avevo paura di sbagliarlo. Ho tirato più forte che potevo e poi son corso via, un po’ per abbracciare i miei compagni, un po’ per paura che scendessero in campo sul serio”.
Stasera sarà ancora così.
Forse in un derby c’è sempre più paura di perdere che non voglia di vincere. Sicuramente, appena finito, c’è subito voglia di giocarne un altro.