Sto leggendo questo libro di Mario Sconcerti, molto interessante sia dal punto di vista calcistico, sia dal punto di vista "culturale". In un Paese come il nostro, che senza il pallone non ci può stare, tutto il movimento calcistico pecca ancora oggi di un grande provincialismo e di un gap di infrastrutture, programmazione e visione d'insieme che fa spavento. Un vero e proprio specchio dell'Italia.
Vedendo Bayern-Juve mi son tornate in mente molte delle pagine lette in questi giorni.
Perchè se è vero che la partita di ieri sera è iniziata male ed è finita peggio, con una Juve mai in partita, impaurita e quasi arrendevole, scarica di testa prima ancora che di gambe, è anche vero che ambire ad essere tra le quattro squadre più forti del mondo (perchè così è) non basta più dominare a casa propria, comprare qualche buon giocatore ogni tanto e sperare nei sorteggi.
Al di là della singola partita sono tante le riflessioni da fare.
Bisogna avere luoghi adatti dove giocare e dove monitorare, selezionare e far crescere i propri campioni (guardate l'età media del Bayern). Bisogna attrarre investimenti per potersi permettere una visione un po' più lunga ma soprattutto un po' più "ampia", cioè guardare cosa capita al di là delle Alpi, senza paura di farsi contaminare e di cambiare le proprie convinzioni.
E non è solo una questione di business, è anche una questione tecnica e tattica. In Inghilterra, Spagna e Germania non solo girano più soldi, ma girano anche più idee. Si gioca un calcio diverso. Loro vincono. Noi no. Ci sarà un perchè.
Credo che la Juventus sia la società italiana in questo momento più all'avanguardia e che Conte sia l'allenatore più innovativo che abbiamo, ma è evidente che non basta ancora.
Italia contro resto del mondo è divertente se si gioca a piedi nudi in spiaggia con gli amici.
Nella realtà si rimediano solo brutte figure.
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