Ho letto con interesse il pezzo che qualche giorno fa Filippo Zuliani
ha scritto sulla Tav
(
http://www.ilpost.it/filippozuliani/2011/07/01/i-numeri-della-tav).
Tralasciando la parte dove parla dei video di Travaglio (per cui anche
il sottoscritto non ha grande simpatia) e sulle sue dichiarazioni sugli
appalti che neanche io condivido, che mi è sembrata una citazione poco
utile per inquadrare il problema, mi vorrei soffermare sui numeri,
quelli che Zuliani afferma “esser branditi come clave” dai No-Tav.
Numeri che hanno un senso se vengono collocati nella storia ventennale
della Tav in Valsusa. Negli ultimi trent’anni i valsusini hanno
sperimentato la realizzazione di molte opere, più o meno “grandi”
(l’ultima in ordine di tempo, l’autostrada A32 TO-Bardonecchia), con
risultati finali lontani anni luce da una seria ipotesi di sviluppo
“strutturato” dell’economia
. Ci tengo anche a dire che la
Valsusa non è mai stata “contro” la ferrovia, tant’è che convive da
oltre 150 anni con un’importante linea internazionale, ma vista
l’assenza di una buona politica infrastrutturale e di sviluppo del
territorio, i suoi cittadini e i suoi amministratori, di fronte
all’ipotesi di realizzazione di una linea ferroviaria aggiuntiva che
avrebbe dovuto togliere i camion dall’autostrada appena costruita, hanno
cercato di capirne qualcosa di più.
Dal tempo della sua
costruzione a oggi, la linea che percorre la Valle di Susa è stata
oggetto di molti ammodernamenti che hanno dato alla linea attuale una
potenzialità di traffico merci annuale pari a 15 milioni di tonnellate.
Ad oggi però, transitano sulla linea circa 6-7 milioni di tonnellate di
merci all’anno. In questo contesto, nel 1994 il governo
francese e quello italiano costituirono una società chiamata Alpetunnel,
incaricandola di studiare la fattibilità della costruzione del nuovo
tunnel alpino (lungo oltre 50 km). I due governi sottoscrissero un
documento che consegnarono alla società in cui si diceva che, qualora lo
studio di fattibilità avesse dato esiti positivi, sarebbe stata proprio
Alpetunnel la società incaricata per la costruzione dell’opera.
Nonostante questo evidente conflitto d’interessi, Alpetunnel consegnò ai
due governi uno studio in cui evidenziava l’inutilità della
realizzazione di una nuova linea ferroviaria se l’aumento delle merci da
trasportare fosse rimasto invariato e se i governi non avessero messo
in atto politiche d’incentivazione per il trasporto su ferro. Nel 2001
Alpetunnel venne chiusa e venne creata la Lyon Turin Ferroviaire
In
un primo tempo si pensò alla realizzazione di una nuova linea ad alta
velocità, che connettesse la rete francese a quella italiana. Ma le
verifiche condotte nella seconda metà degli anni Novanta evidenziarono
che il traffico passeggeri, molto scarso, non giustificava la
costruzione di nessuna infrastruttura dedicata. Ad oggi infatti, Rfi ha
sospeso il traffico passeggeri tra le due città che fino a cinque anni
fa era garantito da 4 convogli al giorno. Si passò pertanto all’idea di
una linea mista, merci e passeggeri, sulla quale far circolare treni
navetta adatti al trasporto camion (la cosiddetta “autostrada
ferroviaria”), in grado di sfruttare la saturazione dei valichi
stradali, la cosiddetta linea ad alta capacità.
Ma anche qui
emersero delle incongruenze tecniche. La rete francese infatti è
concepita esclusivamente come rete “ad alta capacità”, cioè destinata al
traffico passeggeri. Il trasporto delle merci in Francia dunque, può
avvenire solo sulle linee ordinarie.
Questi dati non
scoraggiarono i promotori dell’opera che, supportati da una volontà
politica by partisan, nel 2005 avviano le procedure per l’effettuazione
delle campagne geognostiche sul territorio interessato dall’ipotetico
tracciato. L’accelerazione dei lavori preparatori allo scavo del tunnel
di base determinò gli scontri dell’inverno 2005. Per porre fine ad una
situazione insostenibile,
il Governo decise di istituire un
Osservatorio tecnico, incaricato di esaminare le principali criticità
evidenziate dagli Enti Locali della Valle di Susa e della cintura
metropolitana. I lavori dell’Osservatorio evidenziarono come la
linea fosse lungi dall’essere satura e come le capacità della stessa
non sono le medesime da Modane a Torino:
- tratta di Alta Valle (da Modane a Bussoleno) à 20-32 milioni di t/anno
- tratta di Bassa Valle (da Bussoleno ad Avigliana) à 18-28 milioni di t/anno
- tratta “metropolitana” (da Avigliana a Torino) à 6-11 milioni di t/anno
Risulta
così evidente come i problemi del trasporto merci tra Italia e Francia
vanno cercati non in valle, bensì su quello che è stato chiamato “
il nodo di Torino”.
Una volta avviato il nuovo servizio ad alta capacità, senza interventi
massicci di costruzione di nuovi tracciati in città, il nodo
rappresenterebbe il principale “collo di bottiglia” per il traffico
merci proveniente da Modane e diretto verso Milano.
Un altro
risultato importante dell’Osservatorio, ampiamente sottovalutato dai
media, fu far emergere come i problemi relativi ai sistemi di trasporto
non possono essere risolti soltanto realizzando nuove infrastrutture,
senza adottare misure normative, economiche, tecnologiche e gestionali,
organizzate secondo una politica coerente ed integrata.
I
dati esposti sono stati elaborati dall’Osservatorio Tecnico voluto
dalla Presidenza del Consiglio in cui i tecnici designati dalla comunità
montana della valle di Susa hanno sempre avuto un ruolo propositivo.
Questi dati non hanno fatto altro che confermare i dubbi nei confronti
di
un’opera che costerebbe circa 25 miliardi di euro, di cui solo poco più di 600 milioni finanziati dall’Unione Europea,
e rimarrebbe una cattedrale nel deserto se la sua realizzazione non
fosse accompagnata da una politica chiara che veicoli le merci dal
trasporto su gomma a quello su ferro.
Alla luce di questi dati, gli
amministratori valsusini elaborarono una proposta tecnica chiamata F.A.R.E.
in cui si prospettavano una serie d’interventi per migliorare le
performance della linea storia, operando “per fasi”, partendo dal nodo
di Torino e non dal tunnel. Prima di questo però, chiesero l’inizio di
politiche finalizzate al contingentamento del trasporto stradale a
favore di quello su ferro. Questa prospettiva, per colpa di equilibri
politici interni alle amministrazioni della Valsusa, purtroppo non fu
difesa con la necessaria forza e, di fatto, non fu mai presa in seria
considerazione.
Come avrete notato, in oltre 20 anni di storia, i protagonisti della storia dell’alta velocità/capacità sono stati molti.
L’unica assente ingiustificata è stata la politica,
che non ha saputo dare risposte alle domande legittime di un territorio
che ha sempre soltanto chiesto di “contare” all’interno di un percorso
che lo vede protagonista. Questa ostinata volontà di non volersi
confrontare ha portato a una contrapposizione radicale tra il fronte del
SI e quello del NO e ha caricato di significati un problema che, prima
ancora che politico, è tecnico. A oggi, dopo 20 anni di discussioni,
proclami, commissioni e scontri, in valle non è ancora stata posata una
traversina, a dimostrazione che la “strategicità” di questa nuova linea
ferroviaria, sbandierata da più parti, è un teorema ancora tutto da
dimostrare.
L’unico segnale fattoci pervenire dalla politica in
questi ultimi 3 anni, sono stati i 300 milioni promessi dal governo per
un ipotetico “Piano Strategico per le aree interessate all’alta
velocità”. Peccato che quei soldi non siano mai arrivati. La politica
dovrebbe incominciare a ragionare non “se” o “come” fare l’opera, ma
quali politiche di sviluppo servono all’Italia per potenziare le sue
infrastrutture nel rispetto dei territori, utilizzando il denaro
pubblico in modo oculato e senza l’utilizzo della forza.
http://www.ilpost.it/2011/07/05/tav-valsusa/
http://www.ciwati.it/2011/07/05/1579/