Firenze, stazione Leopolda
5-6-7 novembre 2011
Buongiorno a tutti. Mi chiamo Jacopo ho 28 anni e sono il
coordinatore di un piccolo circolo della Valle di Susa. Sono un
coordinatore un pò discolo, perchè oggi dovrei essere a Roma da Bersani.
Ma visto che vi voglio parlare di un problema che riguarda la mia
valle, so che per essere ascoltato è stato meglio venire qui a Firenze.
Da circa vent’anni la Valle di Susa si confronta con la questione della costruzione della linea Tav Torino-Lione.
In
questi anni gli amministratori e la stragrande maggioranza della
popolazione valsusina hanno cercato di far sentire la loro voce in tutti
i luoghi in cui la realizzazione di quest’opera veniva discussa. Fino a
dicembre 2005 però, la Valle di Susa è rimasta inascoltata. Ci sono
voluti gli scontri di Venaus per far si che si accendessero i riflettori
su un problema che non è locale ma riguarda tutto il paese.
Gli
scontri dell’inverno 2005, in tutta la loro drammaticità, hanno avuto
un risultato positivo. Hanno cioè costretto l’allora governo Berlusconi a
costituire un Osservatorio Tecnico in cui anche gli amministratori e i
tecnici della Valsusa hanno avuto voce.
Dopo oltre cinque
anni di lavoro, i risultati dell’Osservatorio sono stati raccolti in
quattro quaderni, pubblicati dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Questi risultati dicono che investire 25 miliardi di
soldi pubblici in un’opera che sarebbe pronta tra 30 anni è una follia.
Non solo non sussistono le necessità economiche (dopo la crisi di questi
ultimi anni bisogna in primo luogo tornare a produrle le merci, prima
ancora di pensare a spostarle) ma non sussistono neanche le necessità
tecniche perché la linea che attualmente attraversa la valle risulta
essere sottoutilizzata (6 mil/ton annue contro le 15 che potrebbe
sopportare). Le cause di questo sottoutilizzo non vanno ricercate sulla
linea che attraversa la valle, bensì in quello che viene definito “il
nodo di Torino”. Nodo che, per l’assenza di tracce libere, impedisce non
solo il potenziamento del traffico merci, ma anche lo sviluppo di un
servizio di trasporto pubblico locale dignitoso.
Di
fronte a questi dati, gli amministratori della valle hanno proposto una
serie d’interventi graduali sulla linea attuale, volti a migliorare il
trasporto sia delle merci, sia dei pendolari, partendo dalle oggettive
problematiche che interessano la linea.
Queste proposte, che si
fondavano sul concetto “facciamo quello che serve”, e che avevano
trovato un certo consenso anche nell’Osservatorio, avrebbero consentito
al nostro paese di ottimizzare le sue risorse economiche e di varare un
metodo innovativo ed efficace per realizzare le opere pubbliche.
Questo metodo di lavoro però, non è mai stato preso seriamente in considerazione.
In
questi anni i protagonisti di questa storia sono stati tanti. Ne è però
sempre mancato uno. La buona politica. Troppe volte gli interessi
politici ed economici hanno avuto la meglio sul buonsenso e sugli
interessi dei cittadini. Troppe volte le legittime preoccupazioni della
popolazione locale non sono state ascoltate. Troppe volte il problema
della Tav è stato affrontato in modo superficiale.
Questo
approccio ideologico ha incancrenito le posizioni e, piano piano, il
merito della questione è stato messo in disparte, privilegiando gli
slogan o le sterili dichiarazioni d’intenti.
Oggi in valle la
tensione si taglia con il coltello. A gennaio è prevista una nuova fase
di cantierizzazione e si percepisce un nervosismo sempre crescente. Come
nel 2005, gli scontri sono dietro l’angolo e sembra che nessuno se ne
preoccupi. Rischiamo di vivere una nuova Terzigno, ma non vedo da parte
della politica la volontà di evitarla.
E per questo mi rivolgo al mio partito.
Come
tutti voi, credo che il Pd (non questo Pd, il Pd) sia l’unica speranza
per questo paese. L’unico in grado di governarlo e di farlo uscire dal
baratro in cui la destra l’ha fatto piombare.
Credo però che il
mio Pd si debba interrogare sull’utilità di un progetto vecchio di 20
anni, che non rispecchia più le esigenze trasportistiche ed economiche
del nostro paese. Siamo proprio sicuri che il rapporto costi-benefici
relativo al collegamento tra la rete Tav francese e quella italiana, sia
migliore realizzando una nuova linea impattante e costosissima invece
di modernizzazione quella attuale? Credo che il Pd debba uscire dalla
querelle SiTav-NoTav, iniziando a parlare di quali infrastrutture
servono a rendere il nostro paese moderno, efficiente, competitivo. Un
paese europeo insomma. Vorrei che il Pd, quando parla di grandi opere,
parlasse anche di un uso oculato del denaro pubblico, di che impatto
queste opere possono avere sul territorio, di mobilità sostenibile, di
opportunità lavorative, di percorsi decisionali democratici e di
processi virtuosi di rappresentanza dei territori.
Vorrei che il
Pd costruisse la sua idea di sviluppo sulla qualità della produzione e
non solo sulla sua quantità, sull’innovazione tecnologica e non sulla
diminuzione dei salari, sulla tutela dell’ambiente e non sulla sua
devastazione, sullo sviluppo delle conoscenze e dei saperi e non sulla
loro mortificazione.
Seneca diceva che non esiste vento
buono per il marinaio che non sa dove andare. E allora forse il problema
del Pd non è la tempesta in cui si è perso, ma la rotta che non ha
ancora trovato.
E allora spieghiamo le vele e prepariamo le bussole.
La rotta, al Pd, incominciamo a darla noi.
http://www.youtube.com/watch?v=F9L3siWYIfc
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