Parto
dall’unico dato che mi sembra condiviso da tutti.
L’affluenza
al voto in Emilia Romagna non è più classificabile come “un campanello dall’allarme”.
È qualcosa di molto di più.
È
una cosa che nel nostro Paese non credo sia mai successa e che, a mio modo di
vedere, avvicina la nostra democrazia a quella statunitense. One man show più
comitati elettorali al posto dei partiti uguale affluenza bassa, bassissima. Da
questo punto di vista il dato emiliano è il risultato di un percorso in atto da
tempo e che il botto di Grillo alle politiche del 2013 aveva solo ritardato. Se
poi sia anche l’inizio della parabola discendente di Renzi, è una cosa che non
credo sia ancora dato a sapersi.
Dentro
a questo ci sono un po’ di cose da leggere con attenzione, partendo dall’eccezionalità
della situazione emiliana.
Quelle
di ieri erano elezioni anticipate (anche in Calabria) perché a luglio il
presidente Errani si era dimesso.
In
un contesto del genere quindi uno si aspetta che i partiti all’opposizione
facciano il botto.
Bene,
c’è una fetta, non gigante ma significativa, di elettori di destra che a sto
giro ha premiato Salvini e la sua strategia movimentista/antitutto.
Per
il resto, l’M5S passa da oltre 400.000 voti a poco meno di 160.000, il
raggruppamento alla sinistra del Pd recupera sì e no 50.000 voti.
Gli
unici a guadagnarci sono i leghisti, che raddoppiano i voti passando da 115.000
a 230.000 voti.
Questa
situazione mi fa pensare che la stragrande maggioranza di quelli che pensano
che il Pd abbia amministrato male l’Emilia, o che banalmente ce l’hanno con
Renzi, piuttosto che votare le liste grilline o quelle alla sinistra del Pd
sono rimaste a casa. E fossi in loro mi
farei delle domande molto serie
In
questa debacle voglio vedere anche un dato positivo. E cioè spero che questi
numeri frenino le frenesie scissioniste all’interno del Pd. Noi non siamo messi
benissimo, ma altrove son messi peggio. E anche l’idea di fare una “nuova cosa”
per rappresentare chi non va a votare mi sembra molto accademica. L’offerta
politica c’è ed è ampia. Evidentemente sono i contenuti che latitano.
C’è
poi l’unico soggetto politico strutturato che è rimasto in Italia, il Pd, che
nel giro di sei-mesi-sei perde 700.000 voti.
Credo
che le ragioni siano tante. Votare due volte all’anno non aiuta la
partecipazione, riproporsi dopo una serie di scandali neppure, la vicenda delle
primarie aveva già mandato dei segnali preoccupanti. E poi, nonostante i tweet
di Renzi, c’è un problema più ampio. Perché il Partito della Nazione in questi
sei mesi non è diventato quel soggetto politico inclusivo e plurale di cui
parlava tempo fa Reichlin, ma una nave senza capitano sulla quale stanno provando
a salire tutti. Un capolavoro di gattopardismo che magari vince anche, a patto
che in molti stiano a casa.
Sempre
meno persone guardano con fiducia alla politica. La maggioranza di quelli che
lo fanno guardano (ancora) al Pd.
Fossi
nel segretario-premier-uomoovunque mi fermerei un attimo e proverei a fare il punto
della situazione, che ahilui non credo possa essere contenuto in 140 battute. Fossi
in lui la pianterei lì con questa annuncite e proverei a portare a casa almeno
un paio delle mille cose messe in pista e poi dimenticate tra una commissione o
un voto alla Camera o al Senato. Magari la smetterei anche di dire che gli enti
locali sono degli spreconi, che non servono a nulla e che sarebbe il caso di
chiuderli, perché poi i risultati sono (anche) questi qui.
Io
continuo a #starsereno.
Fossi
in lui però, inizierei a #cambiareverso.
Questa
volta sul serio però.
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