Venerdì
sera, 29 agosto 2014, a Todi, Fausto Bertinotti, partecipando ad un’iniziativa pubblica ha dichiarato
che “il comunismo ha fallito e che è stata la cultura liberale quella che più
di tutte ha difeso i diritti dell’individuo”. Questa ammissione avviene alla fine di un ragionamento che parte dalla sua giovinezza, dagli ideali che lo hanno animato,
dalla “lotta per l’uguaglianza per gli uomini falsificata dall’Unione Sovietica.
E adesso non mi dite per favore che non si sapeva niente di cosa accadeva in
Unione Sovietica, e che bisognava attendere il 1956 o Praga!”.
Ovviamente
queste parole stanno facendo il giro della rete.E
il primo ricordo, per forza, va subito a quelle stagioni dell’Ulivo e dell’Unione
che hanno visto Bertinotti e Prc fare da contraltare alla parte riformista
della coalizione e a Romano Prodi. Stagioni che hanno suscitato grandi speranze
e che sono finite (brevemente) tra ripicche, capricci, imboscate parlamentari,
discussioni infinite sul nulla. Bertinotti
oggi, (ripeto, oggi!) ammette quello che ai più era chiaro già da un po’ (infatti la sinistra da
lui rappresentata non entra in Parlamento dal 2008).
Arriva
un po’ tardino, se posso dire. Ma basta leggere la sua storia politica per
capire che il buon Fausto e shiftato rispetto alla realtà di 15 anni buoni,
sempre e comunque. Entra nel PCI nel 1972 (quasi dieci anni dopo la morte di
Kennedy, a proposito di “liberal”) e si avvicina ad Ingrao in opposizione a
Berlinguer (sì, sì, quello stesso Berlinguer che adesso campeggia sulle
locandine delle feste in rosso di mezza Italia…), nel 1992 non aderisce al Pds
e poi, dal 1996 in poi, è al centro di tutte le vicende che ricordiamo bene.
Ora,
ognuno fa le sue scelte e segue i suoi percorsi. È legittimo. Certo che se
queste scelte e questi percorsi diventano punti di riferimento per una fetta
considerevole della società, forse bisognerebbe essere un po’ meno “frivoli” e
un po’ più certi di cosa si sta facendo. Soprattutto bisognerebbe rendersi conto che
il modo in cui si portano avanti queste scelte e questi percorsi, non sono
indifferenti rispetto all’esito delle battaglie che si portano avanti.
Mi
viene in mente il social forum di Genova del 2001. Un momento
rivelatore della crisi del capitalismo per come lo abbiamo conosciuto. Il primo
momento rivelatore. Un’occasione che la politica, e in particolare la sinistra
che una volta amava definirsi “radicale”, non ha saputo intercettare,
analizzare e trasformare in proposta, lasciando che pochi violenti mandassero
tutto in vacca.
Il
miglior biografo di Bertinotti a questo punto rimane Corrado Guzzanti, quando lo imitava dicendo che “al voto utile bisogna anteporre il voto dilettevole” o che
“uno non deve andare contro la sua natura che è fare gli scherzi e rompere i coglioni”.
Ma
a parte le battute, la cosa che più mi fa pensare di questa vicenda è che l’onesta
intellettuale a scoppio ritardato di Bertinotti cozza proprio con il concetto
stesso di sinistra, quello di cui lui molto sovente si è autoproclamato
tenutario unico.
Perché
la sinistra ha il compito, probabilmente un po’ ingenuo e onirico, di cambiare
il mondo. Di immaginarne uno nuovo, diverso, futuro ma (si spera) prossimo. Arrivare
sempre in ritardo, limitarsi a leggere il passato e cercare lì le chiavi di
lettura del mondo di oggi (anzi, di ieri) è una cosa molto più di destra.
In ogni caso, benvenuto nel 2014 Fausto. Attendiamo per il 2030 una dichiarazione sugli 80 euro "che alla fine così schifo non facevano..."
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