Come probabilmente avrete letto
in questi giorni sui giornali, ho raccolto le firme per poter partecipare alle
primarie per i parlamentari del Pd. Io non ho voluto commentare o rilasciare
dichiarazioni. La priorità erano gli iscritti e la partecipazione e non ho
voluto rincorrere le veline dei giornali e le loro ricostruzioni fantasiose. Ora
però tutto è finito e vorrei fare un po’ di chiarezza sulla mia candidatura, visto
che ho letto veramente di tutto.
Quando il partito ha deciso di
selezionare i suoi parlamentari con le primarie, alcuni amici e compagni di
partito mi hanno contattato per chiedermi se avevo intenzione di partecipare
anche io e si sono messi a mia disposizione. Per evitare confusioni e fraintendimenti
e perché non erano ancora state decise le regole per partecipare alla
competizione, ho preso tempo.
Lunedì sera si è riunita la
direzione nazionale e ha reso note le regole del gioco: per candidarsi, bisogna
raccogliere il 5% delle firme degli iscritti della Provincia di residenza. Nel nostro
caso, 400 firme. Un’enormità. Una cifra raggiungibile solo da chi può contare
su un numero elevato di iscritti. È stato in quel momento che
ho deciso di provarci, sapendo benissimo che sarebbe stato impossibile
raggiungere il numero di firme necessarie. L’ho voluto fare lo stesso perché sono
due anni che lavoro per le primarie per i parlamentari, anche in valle. Ho
raccolto firme, fatto iniziative, discusso con i compagni. Ho partecipato all'elaborazione
del documento a firma Salvatore Vassallo-Giuseppe Civati che è stato preso come
base per il regolamento nazionale. Esserci, per me, significava "rivendicare"
quanto fatto fino ad oggi, provare a mettere l'accento sul rinnovamento e sulla
partecipazione attiva degli iscritti. Perché la soddisfazione per la scelta
delle primarie si era subito trasformata in amarezza nel vedere regole stringenti,
fatte apposta per mantenere in piedi un gruppo dirigente che litiga su tutto ma
che quando c’è da auto conservarsi diventa unitissimo.
Il Parlamento di nominati, che è
stato sciolto ieri, verrà sostituito da un Parlamento con molti “signori delle
tessere” o dirigenti locali di lungo corso. Dopo l’apertura al rinnovamento
durante le primarie per il premier, lo spazio per la partecipazione è stato
nuovamente ristretto.
Ho perciò voluto dare un segnale.
Far vedere che chi vuole cambiare davvero la politica non si arrende, ci prova con
onestà e trasparenza e, pur non condividendo le regole del gioco, fa di tutto
per giocare.
Altro che raccolta firme contro qualcuno, come ho letto sui giornali!
Raccolta firme per il Pd.
Per cambiarlo davvero, per non cedere un centimetro, rischiando di prendere
schiaffoni ma puntando i piedi. Perché ci sono tanti iscritti che non si
sentono più rappresentati da nessuno, a Roma come a Torino e anche in valle, e
che si sentono parte di una comunità che vogliono vedere cambiare.
Ho spiegato a chi mi aveva contattato
e ad altri (con una riunione aperta) le mie ragioni e loro hanno convenuto con
me sulla necessità di provarci comunque. Li voglio ringraziare di cuore questi
compagni, che si sono messi pancia a terra nelle sezioni della valle a spiegare
le ragioni di questa scelta. È stato un lavoro estenuante, da Rosta a Bussoleno passando per la Valsangone fino ad
arrivare a Bardonecchia. Una vera e propria “ricognizione” casa per casa,
iscritto per iscritto. Parlando, ma soprattutto ascoltando. Raccontando il
lavoro fatto in questi due anni dentro e fuori il Pd, dalla battaglia per le
primarie e per la cittadinanza ai cittadini stranieri alle iniziative sul
rinnovamento della classe dirigente fino ad arrivare a quelle sul lavoro, vera
emergenza nazionale e anche valsusina. Abbiamo ascoltato le perplessità ma
anche la voglia di crederci ancora. Io, personalmente, ho visto la soddisfazione
di tanti compagni nel vedere “un giuinot” provare a prendere il testimone e
continuare a occuparsi di politica.
Abbiamo raccolto un centinaio di
firme. Vere e sudate. Firme di peones come me, liberi, senza capibastone a cui dover
rendere conto, che si iscrivono ogni anno esclusivamente perché credono di dover
dare una mano anche loro. Sono stato poi contattato da alcuni ragazzi non
valsusini che ho conosciuto in questi anni e con cui ho condiviso tanto. La loro
candidata si era ritirata e mi hanno offerto il loro aiuto (e le loro firme). Una
telefonata inaspettata, che mi ha fatto piacere e che mi ha fatto capire che il
lavoro fatto non è stato inutile. Li ho ringraziati di cuore ma ho rifiutato. Sarei
arrivato ad oltre 150 firme, che sarebbero state inutili per il risultato
finale ma soprattutto non erano firme raccolte per me. Fatto questo conto, sono
andato in federazione e ho annunciato il mio ritiro.
Ho vissuto quattro giorni intensissimi.
Non sono stato quasi mai a casa facendo arrabbiare la mia fidanzata e sono stato contattato da mezzo mondo, ricevendo
incoraggiamenti e “suggerimenti” a fare un passo indietro. Mi sono stancato a
morte guidando tantissimo e consumando più volte la batteria del telefono.
Non chiedevo di meglio. Misurarsi
è sempre entusiasmante, prendere parte ad un’avventura così importante poi fa
venire le vertigini, anche se ci sono state molte cose che non mi sono piaciute.
Da come è stata utilizzata la mia candidatura sui giornali, alle voci messe in
giro ad arte da alcuni “compagni”, un po’ per screditarmi, un po’, temo, per
incapacità di analisi o per la non volontà di accettare il fatto che un periodo
storico e politico, anche in valle, è finito. Non sono una persona rancorosa e
su queste cose voglio andare oltre. Ci sarà il tempo e il modo per discuterne
nelle sedi opportune.
In questa avventura, che è stato
un “viaggio in gruppo”, ci abbiamo messo la faccia in tanti e abbiamo consumato
tante suole. In queste occasioni ha torto chi non partecipa, chi non ci prova,
chi sta a casa a lamentarsi. Perché è in queste occasioni che emerge il
collante di una classe politica che litiga su tutto: e questo collante è l’autoconservazione,
da inseguire in ogni modo. Ed è ora che questa storia finisca.
In queste occasioni il metodo è
merito, perché cambiare la politica non vuol dire cambiare solo i protagonisti,
vuol dire soprattutto cambiare i metodi con cui la si fa. E questi non si
cambiano a parole, ma con l’esempio.
Il senso della nostra sfida è
stato questo.
Tutto il resto sono chiacchiere
da bar, semplificazioni o strumentalizzazioni, alcune chiaramente inconsapevoli,
altre tristemente consapevoli.
Ringraziando tutti quelli che mi
hanno sostenuto, vi posso garantire fin da ora che continueremo a fare come
abbiamo fatto in questi giorni. Perché ci piace così. Perché è giusto così. Perché
meritiamo, tutti, qualcosa di meglio di quello che c’è.
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