La Biovallée, nata da un’idea di Didier Jouve, all’epoca vicepresidente della regione Rodano-Alpi, è un territorio di 2.200 chilometri quadrati che ospita 102 comuni, per un totale di 54mila abitanti. L'idea è quella di far nascere 15 ecoquartieri entro il 2015; impedire, a partire dal 2015, qualsiasi costruzione che alteri in modo definitivo il paesaggio; assicurare l’autonomia energetica del territorio entro il 2020; ridurre a un quarto i consumi energetici di ogni abitante; avere il 100 per cento di rifiuti organici trattati attraverso compost entro il 2014; fare in modo che entro il 2015 il 50% degli agricoltori sia in possesso della certificazione biologica.
Per informazioni più dettagliate, è stato messo online un sito con un sacco di contenuti e di riferimenti.
Un progetto ambizioso non solo per gli obiettivi ambientali ed economici (chiamiamoli così...), ma soprattutto perché pone le condizioni per la costruzione di una nuova “identità locale”. Non più un insieme di comuni sconosciuti tra Loriolsur-Drôme e Die, ma la Biovallée (che è anche diventato un marchio registrato).
Un modello di sviluppo in cui gli abitanti non solo si riconoscono, ma lavorano anche per realizzarlo. Una grandissima operazione di marketing territoriale.
Mi è venuta in mente la valle dove vivo io. Terra di passaggio, con vocazione agricola prima e industriale poi. Ma con i campi che rendono sempre di meno e le fabbriche che hanno chiuso o stanno chiudendo, insieme a tanti posti di lavoro è andata perduta anche l’identità locale.
Tocca costruirne una nuova. Capire chi siamo e cosa vogliamo per il nostro territorio.
Il fiorire di rievocazioni storiche in tanti paesi valsusini, che mettono in scena un passato che in molti casi non è mai esistito, o la radicalità della protesta contro l’Alta Velocità, mi fa pensare che c’è proprio bisogno di questo.
Identità, o senso di appartenenza, se volete.
Non è una passeggiata, ma l’esempio della Biovallée ci dice che è possibile.
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